Musicanti

Un plotone di musici dotati di tamburi imperiali e pifferi, vestiti con giustacorpo e ghette scarlatti, veste e calzoni blu. Le musiche militari dell’epoca erano eseguite con l’ausilio di tamburi e pifferi; i primi, in particolare, servivano per marcare il passo ordinario e di carica, per scandire l’esecuzione degli ordini e i movimenti delle truppe. Il plotone raggruppa i musici assegnati a ciascun plotone. Nelle rappresentazioni del Gruppo Storico sfilano e suonano in testa alla colonna, oppure, nelle simulazioni di attacco, vengono collocati in seconda linea sul fronte tattico di avanzata e scandiscono il passo di carica.

Note su tamburi e pifferi:

I tamburi sono dei cilindri cavi, fermati da una pelle tesa ad ogni estremità. Nel corso dei secoli i tamburi si riducono in altezza, così da renderli più leggeri e meno ingombranti durante la marcia. La sonorità resta pressoché costante finché non verrà inserita una doppia corda di budello sotto la membrana inferiore (quella più sottile). La doppia corda è tesa e può essere regolata con una chiave e una vite di richiamo posta su un lato della cassa così da aumentarne o diminuirne l’intensità del suono.

La cassa è in rame giallo battuto, di forma cilindrica con un’altezza che non supera i ventuno centimetri, mentre il diametro che è di trentotto centimetri. Le pelli sono di vitello pergamenato; quella superiore è detta pelle di batteria, quella inferiore pelle di timbro. Il suono è ottenuto con la percussione della membrana superiore mediante due mazzuoli.

La “battuta di tamburo” è sinonimo di segnale e il suono è il semplice prodotto della forza con cui viene percossa la pelle. Per questo motivo il tamburo non trova espressione nelle note musicali, ma in una diversa simbologia caratterizzata da: colpo semplice ( c ), trau ( t ), plau ( p ), rau ( r ) e rullo ( R ).

Il trau e il plau implicano due colpi di bacchetta, il rau ne conta da tre fino a nove e il rullo non è un rau da nove colpi rapidamente ripetuti. Vi sono battute regolamentari di tamburo per operazioni interne di caserma, quali l’adunata, la disunione, l’allarme, la ritirata serale e altre battute regolamentari per operazioni diverse quali, ad esempio, il passo, la corsa, la marcia al campo e la marcia funebre.

Il tamburo è utilizzato per far marciare il passo al soldato con precisione, sia per via il ritmo rigidamente cadenzato, sia perché l’intensità e la durata del suono facilita il marciare con un ritmo costante.

È interessante la traslazione della parola TAMBURO e del suo suono in altri significati entrati nella lingua e nell’uso comuni, quali “marciare al suono, al rullo dei tamburi” oppure “a tamburo battente” (dal francese “à tambour battant”), espressione usata per le capitolazioni o in altre circostanze in cui siano tributati gli onori di guerra: “la guarnigione uscì a bandiera spiegata e a tamburo battente”.

Nell’Orchésographie di Thonion Arbeau (1589) si trovano le prime informazioni sui rioni eseguiti con il tamburo militare; si tratta di ritmi di marcia, alcuni concepiti in modo tale che in un determinato tempo, in base al numero di colpi principali del ritmo, si possa calcolare la distanza coperta dalle truppe in marcia.

“Tutti i capitani devono avere tamburi e pifferi, e uomini che sappiano usarli, uomini fedeli, discreti e ingegnosi, capaci di suonare i loro strumenti e versati in diverse lingue, perché spesso sono mandati a parlare ai nemici, a raccogliere e condurre prigionieri. Se succede che questi tamburi e pifferi cadano nelle mani del nemico, né regali né violenza devono far rivelare i segreti che custodiscono (in particolare: i segnali). Devono spesso esercitarsi nel loro strumento, insegnando alla compagnia il suono della marcia (marche), dell’allarme (allarum), dell’avvicinamento (approache), dell’assalto (assaulte), del combattimento (battaile), della ritirata (retreate), e ogni altro segnale che occorre conoscere” (testimonianza quasi coeva sull’importanza dei segnali e la loro segretezza, riportata nelle British Regulations – Ordinanza ufficiale alle truppe inglesi – di Ralph Smith, 1500 circa).

Il piffero è simile al flauto, di tessitura acuta e associato storicamente alle truppe di fanteria. La sua intonazione è solitamente in la bemolle. Lo strumento viene principalmente usato oggi nelle bande militari in coppia con il tamburo.

Il binomio piffero – tamburo.

Tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo prende piede un’usanza nata fra le truppe confederate svizzere e diffusasi all’estero grazie al servizio mercenario: l’uso militare della musica ottenuta dal connubio del suono del flauto traverso (o piffero) e del tamburo suonato con due bacchette.

Spesso i suonatori sono in gruppi e la loro musica è ideale per impartire gli ordini, ritmare la marcia e, all’occorrenza, fare festa negli accampamenti. Inoltre, in battaglia, il sordo rullare del tamburo (che viene percepito fisicamente dal corpo umano con una forte vibrazione del diaframma) e i semplici motivi ripetuti senza sosta dai trilli dei pifferi stordiscono il combattente che marcia a pochi metri dai suonatori, inducendolo in una esaltazione guerresca che trasforma una masnada di gaglioffi in una falange di indemoniati.

Una curiosità: nella notte del 1° settembre 1706, durante l’assedio di Torino, un gruppo di militari piemontesi si mise a suonare allegramente su un bastione, certi dell’imminente arrivo dell’esercito liberatore del principe Eugenio. In tale occasione gli assedianti, l’esercito franco-ispanico guidato dal duca de La Feuillade, chiesero a gran voce di ascoltare La follia di Spagna. I piemontesi risposero che al massimo avrebbero suonato “La pazzia di Francia” visto che, in quattro mesi di assedio, l’esercito del re Sole non era riuscito a espugnare la città. Il 7 settembre 1706 i francesi si arresero.

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